lunedì 3 agosto 2009

*PIGNOTTA / "SCUSA SONO IN RIUNIONE..."

SCUSA SONO IN RIUNIONE, TI POSSO RICHIAMARE?
scritto e diretto da Gabriele Pignotta
con Gabriele Pignotta e Fabio Avaro e con Cristiana Vaccaro, Ilaria Di Luca e Andrea Gambuzza
una coproduzione tra La Bilancia di Roma e il Teatro Stabile Privato Torino Spettacoli Commedy & Co

visto a Torinio
Teatro Gioiello
maggio 09
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Dopo il grande successo di Una notte bianca ecco la nuova commedia di Gabriele Pignotta che racconta la storia di cinque trentacinquenni, ex compagni di università, che dopo gli indimenticabili anni di studio trascorsi insieme, decidono di puntare tutto sulla carriera, finendo nel frullatore di un esistenza complicata e stressante. Esattamente come accade oggi ad ognuno di noi, corrono in continuazione da un impegno all'altro, non hanno mai tempo per nessuno, non riescono a mantenere un rapporto sentimentale stabile e a chi cerca di rallentare la loro corsa insensata verso il nulla, l'unica cosa che sanno rispondere è: "Scusa sto in riunione, ti posso richiamare!” Improvvisamente però, nel bel mezzo della loro frenetica vita quotidiana ricevono una telefonata misteriosa che li porterà a rincontrarsi dopo 10 anni e a trascorrere dei giorni insieme. Così, mentre tutto sembra volgere al termine, verso il lieto fine di una storia di amicizia iniziata tanti anni prima, ecco una sorpresa spiazzante, che farà sobbalzare il pubblico e che catapulterà i cinque protagonisti in una situazione davvero inimmaginabile e grottesca.
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Mi dicono che questo spettacolo ha avuto un enorme successo a Roma.
E anche che Gabriele Pignotta è un giovane autore di grande talento; uno che, se va avanti così, - mi dicono - può davvero risollevare le sorti del genere "commedia".

Del resto è già rilevante il solo fatto che uno spettacolo comico, con forte ed evidente cadenza romana, sia giunto fino al dignitoso palco del Gioiello di Torino. Che abbia dunque varcato i confini del Raccordo Anulare: caso davvero più unico che raro per una proposta di questo tipo.
Lascio dunque a casa tutte le mie perplessità e, come facevo quando avevo l'età di Pignotta, vado a teatro per il solo gusto di vedere, senza alcuna necessità di interpretare. Voglio avere lo sguardo puro, libero da preconcetti, adolescente.

(...)

Alla fine dello spettacolo mi guardo intorno incredulo. E non capisco più niente. Sono inebetito. Certamente sono anche nervoso, teso. Ma soprattutto sono sconsolato, debole, deluso, perfino umiliato.
In tanti anni di carriera non m'era mai capitato di sentire tanto clamorosamente la mancanza degli strumenti minimi necessari all'osservazione di uno spettacolo.
Io non ho assolutamente parole. E, chi mi conosce può immaginarlo bene, una condizione del genere mi addolora in modo - per l'appunto - indicibile.

Non ce l'ho con Pignotta. Non lo conosco nemmeno. E senz'altro è un professionista in grado di comprendere funzionamenti a me ignoti.
Ed è ovvio che non posso avercela neanche con il suo pubblico, che applaude e ride e applaude e ride, come se fosse stato caricato a molla, come in preda ad una crisi isterica, come sotto l'effetto di pazzesche quantità di sostanze stupefacenti.
E del resto non so con chi ce l'ho.

(...)

Racconto una scena.
C'è un uomo in mutande, al telefono. Dietro di lui un water. L'uomo, parlando col proprio interlocutore, dice: "Devo inviare (invia') un fax". E lo dice mentre alza la tavoletta del water e si siede sullo stesso. La gente ride. E ride di gusto.

(...)

Non la voglio far lunga. Del resto non sono davvero in grado di scrivere una vera recensione.
Però penso che questo spettacolo non lo dimenticherò mai.
Mi accompagnerà nei prossimi anni, come il segno più visibile, clamoroso e autentico del declino culturale italiano.
Di solito non ho spiccate tendenze apocalittiche. Ma d'altro canto non m'era mai capitato di provare tanto sconcerto. E tanta vergogna.

(...)

...Vergogna sì.
Mentre vedevo il tizio sul water e mentre ascoltavo il riso della gente, ho pensato che uno spettatore straniero (un tedesco, uno spagnolo, uno forestiero qualsiasi) potesse essere seduto in sala. E che potesse osservare tutta la scena con un'incredulità differente dalla mia ma ugualmente vasta. E che poi potesse tornarsene nel suo paesa, a raccontare, anche attraverso questo spettacolo, lo stato in cui versa l'Italia.
Ecco. Io avrei voluto prendere sottobraccio questo spettatore, avrei voluto portarlo a cena e provare a persuaderlo, per tutte le ore necessarie a farlo, che nel nostro paese il teatro esiste ancora, che non è quello lì, che esiste ancora un senso della misura, che il rispetto indissolubile nei confronti del palcoscenico e delle persone è ancora, nella maggioranza dei casi, il segno distintivo degli artisti italiani...

(...)

Ma siamo fuori tempo, amico mio.
Questo è il paese di Berlusconi; il paese della censura, delle escort, delle mafie, della Salerno-Reggio Calabria, dei precari, delle ronde...
E' anche il nostro.
E' anche quello in cui si esulta per un cesso sul palcoscenico.