venerdì 27 febbraio 2009

il critico Dioceneliberi

"Esiste l'attore Iradiddio, ma esiste anche il critico Dioceneliberi. E cosi' so' diventato il critico del critico. Se ci sono attori cani, esistono critici della medesima razza. Solo che l' attore cane e' innocuo: abbaia ma non mozzica. Mentre il critico cane e' pericoloso perche' , oltre ad abbaiare, morde".
(Ettore Petrolini)

giovedì 26 febbraio 2009

sull'articolo di Baricco

Il pezzo di Alessandro Baricco pubblicato su Repubblica del 24/2 sta provocando reazioni notevoli.
Già il titolo, in effetti, non si presta a lasciare indifferente nè chi fa teatro, nè chi ne parla: "Basta soldi pubblici al teatro, meglio puntare su scuola e tv".

Ma cosa dice Baricco?
(l'articolo integrale è qui:
http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/spettacoli_e_cultura/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco.html)

Baricco si chiede innanzitutto quali siano state le ragioni che hanno portato, tempo fa, nel nostro Paese, alla prassi di "usare il denaro pubblico per sostenere la vita culturale".
Ne individua tre: 1) aumentare la fruibilità ("rendendo accessibili i luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità"); 2) tutelare forme e contenuti di qualità ("alcuni gesti, o repertori, che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto, e che tuttavia ci sembravano irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà"); 3) tutelare la cultura come elemento strutturale di una democrazia ("nel difendere la statura culturale del cittadino, le democrazie salvano se stesse").

Appare piuttosto semplice privare di valore, almeno allo stato attuale, questi tre cardini; non c'è neanche bisogno di argomentazioni particolarmente acute:

1) La comunità ha in effetti preso possesso sia dei luoghi, che dei riti culturali; la possibilità di fruire della cultura è ormai legata soltanto in minima parte alla disponibilità economica del singolo o alla sua posizione nella scala sociale. Ma questo non dipende dal meccanismo di finanziamento; almeno non direttamente; piuttosto riguarda il villaggio globale e tutti i bla bla bla in merito. Peraltro, dice Baricco: "Se andiamo a vedere i settori in cui lo spalancamento è stato più clamoroso, vengono in mente i libri, la musica leggera, la produzione audiovisiva: sono ambiti in cui il denaro pubblico è quasi assente. Al contrario, dove l'intervento pubblico è massiccio, l'esplosione appare molto più contratta, lenta, se non assente: pensate all'opera lirica, alla musica classica, al teatro: se non sono stagnanti, poco ci manca";

2) Chi decide oggi in Italia cosa vada tutelato? Quali sono i parametri reali? Come si appalta? Come si finanzi? Qual è il background di chi stabilisce: "a te sì, a te no"? Il risultato, continua Baricco, "è che nel nostro paese non esiste quasi più quel fare rotondo e naturale che mettendo semplicemente in linea uno che scrive, uno che recita, uno che mette in scena e uno che ha soldi da investire, produce il teatro";

3) Il terzo punto si demolisce da solo; basta mettere in relazione la parola democrazia con la parola berlusconi; oppure la parola cultura con la parola mediaset. E' facile facile.

Le soluzioni proposte da Baricco sono le seguenti:
"1.Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. [...] Chiudete i Teatri Stabili e aprite un teatro in ogni scuola".
"2. Lasciare che negli enormi spazi aperti creati da questa sorta di ritirata strategica si vadano a piazzare i privati". Il che significa, non so, fare Cechov nel Teatro Coca-cola, fare Pirandello nel Teatro Nike (che non suona neanche male). E tanto per rincarare: "Abituiamoci ad accettare imprese vere e proprie che producono cultura e profitti economici, e usiamo le risorse pubbliche per metterle in condizione di tenere prezzi bassi e di generare qualità. Dimentichiamoci di fargli pagare tasse, apriamogli l'accesso al patrimonio immobiliare delle città, alleggeriamo il prezzo del lavoro, costringiamo le banche a politiche di prestito veloci e superagevolate".

Questo, più o meno, il contenuto del pezzo.
Un contenuto che, sorprendentemente, coincide in modo esatto al mio personale punto di vista.
Non mi capitava da tempo di essere così in accordo con qualcuno.

Non credo neanche, come molti sostengono, che si tratti di una provocazione.
Se poi davvero Baricco predichi bene e razzoli male, mi interessa davvero poco al momento.

Tra le innumerevoli reazioni autorevoli, ne segnalerei due:

La prima è tratta dal blog L'Italia vista da Londra (http://breakfastinlondon.blogosfere.it/):
Io sono un'esule, non mi permetto di commentare...il fatto che me ne sia andata dice gia' molto. Ma conosco bene il mondo dell'arte e dello spettacolo italiano: so dove vanno i soldi e perche', ho visto come vanno le cose e ho vissuto alcuni dei milioni di problemi che attanagliano la povera Italia. Povera Italia, mi sembra davvero la guerra dei poveri per le briciole di un antichissimo splendore. [...] Io non intervengo sulla polemica italiana, sulle vostre tasse, i vostri politici... io ho combattuto, pagato e ho avuto in cambio solo rabbia. Pero' vi dico questo: Londra e londinesi saranno anche in crisi, ma i teatri continuano a essere pieni di begli spettacoli e di gente.
Il problema italiano e' titanico: soldi, teatri, politici, registi, attori...
Guardate le vostre sale: piene solo di addetti ai lavori (spesso pure costretti a pagare).
Guardate i vostri palchi: sempre la stessa gente, sempre la stessa roba.
Che palle!

La seconda è Il n'y a pas de Colin dans le poisson, un breve filmato documentario sul disimpegno dello Stato nella Cultura, realizzato dall'associazione culturale Les Yeux d'IZO di Poitiers (Francia) nel luglio del 2008. L'ha usato Inteatro per dare ua risposta all'articolo di Baricco: "Una risposta francese alla polemica sollevata da Alessandro Baricco nel suo articolo pubblicato ieri su La repubblica. Un filmato (lo potete vedere qui: http://www.inteatrotv.com/index.php?cat_id=10&prod_id=161) per riflettere sul senso del finanziamento pubblico alla Cultura".
In effetti si tratta di un filmetto inutile in cui si dicono cose scontatissime e per niente connesse alle questioni in oggetto. Nulla di nuovo: è così che la casta degli intellettuali pensa di spiegare il mondo a tutti coloro i quali non vengono ritenuti capaci di pensieri critici: con parabolette da quattro soldi e con depistaggi pianificati (del resto fanno così fin dai temip di Zenone).

Si parlerà ancora di questa cosa. Ma non servirà a niente parlarne.
Tranne che a far sentire ancora un po' di vita a chi è cadavere da tempo.

sabato 21 febbraio 2009

*TIMPANO / "TENERAMENTE TATTICO" - CIRCO BORDEAUX / "SINGAPORE"

premessa (più o meno doverosa)

Roma la conosco poco. Fino a pochi mesi fa, per me, era stata soltanto una stazione di passaggio.
Ora, da qualche mese, dopo aver lavorato per tanti anni soprattutto nel Nord-Est (ben 15, intervallati soltanto da una mezza dozzina di brevi parentesi meridionali) ho dovuto prendere casa a Roma. Ed ora è qui che vivo.
Fuori si parla spesso del teatro romano come di una galassia. Roma, del resto, è la città che, di gran lunga, conta il maggior numero di sale teatrali.
A poco a poco, tuttavia, sto capendo che "galassia" non è altro che un termine di comodo, usato per (non) definire una realtà poco nota. Un termine vago, vaghissimo, che non fa certo onore a chi vuole applicare la professione giornalistica ad un contesto variegato.
Così ho deciso di mettermi a studiare.
Un amico - giornalista attento ma soprattutto romano - mi ha segnalato un paio di "libri di testo".
Uno di questi, anche se magari un po' partigiano, mi ha aperto - è il caso di dirlo - un mondo che ignoravo veramente del tutto. Si tratta di un volume intitolato "Hic sunt leones - scena indipendente romana", curato da tale Graziano Graziani e pubblicato da Editoria&Spettacolo circa due anni fa.

Hic Sunt Leones investiga nella scena teatrale indipendente romana e nella dinamica ricerca che negli ultimi anni l'ha caratterizzata, con incursioni nell'arte visiva, nella musica, nel video, nella danza. Le testimonianze dei protagonisti sono affiancate dalla prefazione di Attilio Scarpellini, dai commenti di Fabrizio Arcuri, Giorgio Barberio Corsetti, Andrea Cosentino, Roberto Latini e da un intervento di Franco Ruffini. La descrizione di questo luogo dell'arte ai confini, in un tempo in cui i concetti di centro e periferia perdono il loro carattere stanziale, disegna una cartografia, un'immagine inevitabilmente parziale di un territorio rappresentato attraverso il vissuto: una mappa che fatalmente coincide con il territorio.


Penso:
1) se almeno le 5-6 città di riferimento potessero disporre di una ricognizione altrettanto attenta, puntuale e consapevole relativa teatro c.d. invisibile, l'analisi giornalistica di riferimento (ma anche quella sociologica, quella generalmente culturale, forse quella storica) potrebbe essere meno vaga; e comunque avrebbe meno scuse per esserlo;
2) quello che Roma ha messo in campo, negli ultimi dieci anni, in termini di produzione indipendente è: a) assolutamente ignorato al di fuori del Raccordo Anulare; b) semplicemente sconcertante; almeno sul piano della quantità, della eterogeneità e dell'impostazione teorica [quanto alla qualità specifica, al momento non so che dire; ma è una mia colpa esclusiva cui tenterò, d'ora in poi, di porre rimedio;
3) visti anche gli orrendi cartelloni proposti, forse devo mettermi in testa di disertare più spesso ArgentinaValleIndiaQuirinoEtiEliseo e di affacciarmi con costanza abitudinaria nelle topaie da 30 posti. D'altronde, quando il mio sedere borghese tornerà ad aver voglia di velluto, farò sempre in tempo a tornare sui miei passi.

Questa premessa serve per dire - più a me e ai miei colleghi, che non ai lettori del blog - come sia finito, qualche giorno fa, sulle poltrone scomode e sulle panche dure del Rialto Santambrogio, luogo cult - pare - del teatro romano indipendente.
Era in corso Dramorama - rassegna di nuovi approcci alla drammaturgia.
Ho visto due spettacoli. Questi:

NEGATIVE FILM#1 - TENERAMENTE TATTICO
ideazione e regia Lorenzo Letizia
drammaturgia Daniele Timpano
con Daniele Timpano, Francesca La Scala
voce narrante e luci Marco Fumarola
produzione: amnesia vivace / Le Chant du Jour / Teatro Forsennato
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Un piccolo esperimento sulla costruzione del senso in chi percepisce. Un testo scorre per qualche minuto nel buio della sala, poi entrano in scena due persone, si collocano davanti a dei microfoni posti su delle aste. Si spengono le luci, permettendo così di vedere solo i loro volti, parte una musica, seguita da un video che mostra i due performer seduti su di una panchina... e' notte, e mentre il montaggio del video propone un'ipotesi di racconto i due iniziano a dire il testo che noi spettatori abbiamo appena letto...
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Lavoro intramuscolare, fulminante, beffardo; e soprattutto colto, direi. Non solo perchè musicato, videodiretto (sic) e ben lavorato sul piano dell'interpretazione (o della non-interpretazione, fate come vi pare...). Del resto, anche in 15 minuti, è difficile vedere una cosetta tanto ben costruita, tanto consapevole, peraltro, delle tecniche e delle tattiche relative alla messa in scena. Mini-drammaturgia, questa di Timpano; sembra poco più che una storiella divertente; e invece, in fin dei conti, svela un meccanismo, che è poi quello del funzionamento delle dinamiche teatrali meno avanguardiste, più nazional-popolari. Attenzione, però. Questa nuga - lo dicevamo - in senso diretto ha poco a che fare con le orrende platee sistinesche; ma sospetto che affondi le proprie radici esattamente lì. Il risultato è quello di apparire costruita per un pubblico che, di fatto, almeno in Italia, non esiste (forse questo è il difetto). Qui ci vuole uno spettatore d'essai più che d'elite; uno che conosca, non so... la videoarte, la letteratura americana contemporanea, il teatro antistabile; ma che per il solo fatto di avere nozioni in merito, non si mostri automaticamente snobissimo; e che non rifiuti dunque, almeno non a priori, Garinei&Giovannini, il Festival di Sanremo e il discorso dell'ultimo dell'anno del Presidente della Repubblica.
Nota a margine: la voce narrante è quella del light designer; un'evenienza, questa, che da sola racconta lo spirito cooperativo, comunitario e forse socialista che caratterizza - spero con tanto orgoglio - tanto teatro autoprodotto; distaccandolo decisamente da un mondo nel quale c'è chi è pagato per portare caffè macchiato alla prima attrice ("Grazie caro").

Circo Bordeaux
SINGAPORE
scritto e diretto da Marco Andreoli
con Anna Amato, Tommaso Cardarelli, Alessandro Loi, Maria Sole Mansutti
disegno luci Dario Aggioli
supporto coreografico Elena Rolla
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La teoria-Singapore rappresenta per l’Avvocato una vera rivelazione, tanto da dedicare ogni attimo della vita che gli resta ad applicarla senza tregua. Perseguendo un obiettivo folle e al tempo stesso grandioso: riavere sua moglie. Per farlo deve raccogliere tutti i ricordi; e, soprattutto, deve renderli puri e perfetti. E aderenti. Il suo assistente Fanicchia e la Signorina Mori, di professione segretaria raccoglitrice, lo aiuteranno nell’impresa, tentando di vincere tutti i dubbi e le remore che, in merito, sembra lecito nutrire.
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"Singapore" è il nome di un'idea, prima ancora che il titolo di un testo notevole e di uno spettacolo importante.
Le righe in corsivo sopra riportate, del resto, non fanno giustizia di un plot estremamente articolato, eppure talmente giocato sulla sottrazione, sulla leggerezza di tocco, sull'impalpabilità filosofica del concetto vita, da poter essere riassunto solo con grandi difficoltà e solo con enormi perdite (di senso; oltre che di puro contenuto).
Comunque lo spunto è una meraviglia che suona così: il ricordo è caratterizzato dall'imprecisione; se il ricordo fosse preciso - preciso in ogni minuzia -, ebbene: quel ricordo sarebbe hic et nunc, qui e ora, materialmente. Questo è il fondamento principale della teoria Singapore.
Se non volessi usare questo mio spazio - del quale stavolta sto davvero abusando - per dire due parole sullo spettacolo, mi piacerebbe dilungarmi sul ciclostilato consegnato al pubblico e contenente, oltre alla biografia impossibile del dottor Singapore, stralci di autorevoli volumi nei quali si parla di lui e una scelta bibliografica di riferimento. Tutto inventato di sana pianta, ovviamente; ma in modo così ben articolato da rappresentare davvero l'assunto filosofico dello spettacolo e forse anche una soluzione aggiuntiva, alternativa, insomma, a quella proposta sulla scena.
Ecco. Mi sono dilungato. Con il timore, per di più, di non saper fornire alcun quadro logico/strutturale a chi non abbia assistito allo spettacolo.
Del resto quante altre persone potranno vedere questo lavoro? Io stesso (si veda la premessa) senza casi fortuiti (ridondanza) non mi sarei mai imbattuto in una cosa del genere. E allora tanto vale autoalimentarci, condividere impressioni e suggestioni dentro una scatola chiusa che sembra così bella quando si va in scena e che diventa tanto vuota dopo l'ultima replica. Io, noi, i giornalisti in genere, per non parlare degli operatori (davvero merdosi, a volte), malgrado scuse e alibi di rito, siamo colpevoli di non saper alimentare progetti come questo. Ecco perchè "Singapore" forse non lo vedremo mai nei festival estivi, o nei cartelloni della prossima stagione: perchè forse nessuno si preoccuperà di ospitare o - figuriamoci! - di comprare questo gioiello, preferendo luci e suoni di show che hanno scelto da tempo la volgarità come cifra stilistica. O, peggio ancora, la furberia politica.
Dunque, due parole sullo spettacolo.
Non si tratta di un lavoro perfetto, attenzione. La scena potrebbe essere più curata; alcuni passaggi registici andrebbero puliti; un paio di atmosfere mi sono sembrate poco centrate. Ma questo rientra nella norma di un debutto; per di più nella sottonorma di un debutto autoprodotto; per di più nella sotto-sottonorma di un debutto autoprodotto di alto livello.
Qui c'è gente che recita, non so se mi spiego; c'è gente che in scena muove corpo e voce e lo fa comecristocomanda. Qui ci sono attori che costruiscono personaggi e che poi, con quei personaggi, fanno ciò che vogliono. E allora diventa facile, perfino quasi scontato, scalare da un registro all'altro senza alcun trauma, passare dal tono nostalgico a quello buffonesco con la semplicità di un cambio di marcia in autostrada.
La drammaturgia va letta. E' notevole come di rado capita. Ma non la svilirò tentando ancora un altro riassunto. Peggio per voi se non c'eravate.
Sappiate solo che "Singapore" è un lavoro denso, sofisticato, raffinato. Nel suo piccolo è un grande lavoro. Fate voi.
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visti a Roma
Rialto Santambrogio
febbraio 09


venerdì 20 febbraio 2009

allunga un altro po'...

Il teatro allunga la vita...



...infatti tutti quelli che stanno nelle cornici hanno superato da un sacco di tempo l'età media nazionale.

mercoledì 18 febbraio 2009

Ironia su Celestini: splendido

Beh, davvero compliemti all'autore; la lampadina in mano è geniale!



giovedì 12 febbraio 2009

*DE LUCA / "DARWIN... TRA LE NUVOLE"

DARWIN... TRA LE NUVOLE
un'idea di Luca Boschi, Stefano de Luca, Giulio Giorello
regia Stefano de Luca
impianto scenografico a cura di Marco Rossi
costumi Luisa Spinatelli
luci Claudio De Pace
consulenza musicale e temi originali Marco Mojana
con Clio Cipolletta, Gabriele Falsetta, Andrea Germani, Andrea Luini, Silvia Pernarella
produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa
visto a Milano
Teatro Studio
febbraio 09
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A soli 22 anni Charles Darwin aveva abbandonato gli studi di medicina per un’avventura straordinaria: il giro del mondo sul “Beagle”, vascello della marina di Sua Maestà. La nave lo avrebbe portato, in cinque anni, alla scoperta dei luoghi più remoti del mondo, Brasile, Ande Patagonia, Terra del Fuoco, Galapagos... Da questo viaggio tornò con una quantità impressionante di informazioni sulla natura - minerali, piante, ma soprattutto animali - che gli consentirono di formulare la sua teoria sull’evoluzione.
Questa storia, la storia vera di un uomo fuori dal comune, è diventata uno spettacolo teatrale, grazie all’incontro di due docenti universitari, Giulio Giorello, epistemologo, e Luca Boschi professore di Fumetto e Cinema d’Animazione e di un regista teatrale, Stefano de Luca.
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Si racconta la storia del viaggio di Darwin sul brigantino Beagle. E intanto si dice qualcosa di più o meno filosofico riguardo la sua teoria.
Lo si fa attraverso fumettini, animazioncine, giochetti d'ombra, abiti d'epoca "stile Famiglia Cristiana".
Lo si fa per mezzo di una leggerezza di maniera (mi viene in mente il Bonaventura di Baliani) per nulla effettiva.
Lo si fa pensando che lo spettatore adulto possa, per un'ora e mezza, aver voglia di sentrirsi bambino; e che lo spettatore bambino impazzisca dal desiderio di emanciparsi attraverso un'erudizione istantanea; fumosa più che fumettosa.

E' che proprio non mi spiego questa voglia del teatro di farsi divulgativo; di dire cose che evidentemente è più utile leggere sui libri; o ascoltare dalla voce tubosa di Piero Angela.

Starò invecchiando. Ma oltre a non spiegarmi atteggiamenti del genere, ho la forte sensazione che non debbano essere ignorati. E che rientrino in un disegno "culturale" quanto meno sospetto.