sabato 21 febbraio 2009

*TIMPANO / "TENERAMENTE TATTICO" - CIRCO BORDEAUX / "SINGAPORE"

premessa (più o meno doverosa)

Roma la conosco poco. Fino a pochi mesi fa, per me, era stata soltanto una stazione di passaggio.
Ora, da qualche mese, dopo aver lavorato per tanti anni soprattutto nel Nord-Est (ben 15, intervallati soltanto da una mezza dozzina di brevi parentesi meridionali) ho dovuto prendere casa a Roma. Ed ora è qui che vivo.
Fuori si parla spesso del teatro romano come di una galassia. Roma, del resto, è la città che, di gran lunga, conta il maggior numero di sale teatrali.
A poco a poco, tuttavia, sto capendo che "galassia" non è altro che un termine di comodo, usato per (non) definire una realtà poco nota. Un termine vago, vaghissimo, che non fa certo onore a chi vuole applicare la professione giornalistica ad un contesto variegato.
Così ho deciso di mettermi a studiare.
Un amico - giornalista attento ma soprattutto romano - mi ha segnalato un paio di "libri di testo".
Uno di questi, anche se magari un po' partigiano, mi ha aperto - è il caso di dirlo - un mondo che ignoravo veramente del tutto. Si tratta di un volume intitolato "Hic sunt leones - scena indipendente romana", curato da tale Graziano Graziani e pubblicato da Editoria&Spettacolo circa due anni fa.

Hic Sunt Leones investiga nella scena teatrale indipendente romana e nella dinamica ricerca che negli ultimi anni l'ha caratterizzata, con incursioni nell'arte visiva, nella musica, nel video, nella danza. Le testimonianze dei protagonisti sono affiancate dalla prefazione di Attilio Scarpellini, dai commenti di Fabrizio Arcuri, Giorgio Barberio Corsetti, Andrea Cosentino, Roberto Latini e da un intervento di Franco Ruffini. La descrizione di questo luogo dell'arte ai confini, in un tempo in cui i concetti di centro e periferia perdono il loro carattere stanziale, disegna una cartografia, un'immagine inevitabilmente parziale di un territorio rappresentato attraverso il vissuto: una mappa che fatalmente coincide con il territorio.


Penso:
1) se almeno le 5-6 città di riferimento potessero disporre di una ricognizione altrettanto attenta, puntuale e consapevole relativa teatro c.d. invisibile, l'analisi giornalistica di riferimento (ma anche quella sociologica, quella generalmente culturale, forse quella storica) potrebbe essere meno vaga; e comunque avrebbe meno scuse per esserlo;
2) quello che Roma ha messo in campo, negli ultimi dieci anni, in termini di produzione indipendente è: a) assolutamente ignorato al di fuori del Raccordo Anulare; b) semplicemente sconcertante; almeno sul piano della quantità, della eterogeneità e dell'impostazione teorica [quanto alla qualità specifica, al momento non so che dire; ma è una mia colpa esclusiva cui tenterò, d'ora in poi, di porre rimedio;
3) visti anche gli orrendi cartelloni proposti, forse devo mettermi in testa di disertare più spesso ArgentinaValleIndiaQuirinoEtiEliseo e di affacciarmi con costanza abitudinaria nelle topaie da 30 posti. D'altronde, quando il mio sedere borghese tornerà ad aver voglia di velluto, farò sempre in tempo a tornare sui miei passi.

Questa premessa serve per dire - più a me e ai miei colleghi, che non ai lettori del blog - come sia finito, qualche giorno fa, sulle poltrone scomode e sulle panche dure del Rialto Santambrogio, luogo cult - pare - del teatro romano indipendente.
Era in corso Dramorama - rassegna di nuovi approcci alla drammaturgia.
Ho visto due spettacoli. Questi:

NEGATIVE FILM#1 - TENERAMENTE TATTICO
ideazione e regia Lorenzo Letizia
drammaturgia Daniele Timpano
con Daniele Timpano, Francesca La Scala
voce narrante e luci Marco Fumarola
produzione: amnesia vivace / Le Chant du Jour / Teatro Forsennato
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Un piccolo esperimento sulla costruzione del senso in chi percepisce. Un testo scorre per qualche minuto nel buio della sala, poi entrano in scena due persone, si collocano davanti a dei microfoni posti su delle aste. Si spengono le luci, permettendo così di vedere solo i loro volti, parte una musica, seguita da un video che mostra i due performer seduti su di una panchina... e' notte, e mentre il montaggio del video propone un'ipotesi di racconto i due iniziano a dire il testo che noi spettatori abbiamo appena letto...
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Lavoro intramuscolare, fulminante, beffardo; e soprattutto colto, direi. Non solo perchè musicato, videodiretto (sic) e ben lavorato sul piano dell'interpretazione (o della non-interpretazione, fate come vi pare...). Del resto, anche in 15 minuti, è difficile vedere una cosetta tanto ben costruita, tanto consapevole, peraltro, delle tecniche e delle tattiche relative alla messa in scena. Mini-drammaturgia, questa di Timpano; sembra poco più che una storiella divertente; e invece, in fin dei conti, svela un meccanismo, che è poi quello del funzionamento delle dinamiche teatrali meno avanguardiste, più nazional-popolari. Attenzione, però. Questa nuga - lo dicevamo - in senso diretto ha poco a che fare con le orrende platee sistinesche; ma sospetto che affondi le proprie radici esattamente lì. Il risultato è quello di apparire costruita per un pubblico che, di fatto, almeno in Italia, non esiste (forse questo è il difetto). Qui ci vuole uno spettatore d'essai più che d'elite; uno che conosca, non so... la videoarte, la letteratura americana contemporanea, il teatro antistabile; ma che per il solo fatto di avere nozioni in merito, non si mostri automaticamente snobissimo; e che non rifiuti dunque, almeno non a priori, Garinei&Giovannini, il Festival di Sanremo e il discorso dell'ultimo dell'anno del Presidente della Repubblica.
Nota a margine: la voce narrante è quella del light designer; un'evenienza, questa, che da sola racconta lo spirito cooperativo, comunitario e forse socialista che caratterizza - spero con tanto orgoglio - tanto teatro autoprodotto; distaccandolo decisamente da un mondo nel quale c'è chi è pagato per portare caffè macchiato alla prima attrice ("Grazie caro").

Circo Bordeaux
SINGAPORE
scritto e diretto da Marco Andreoli
con Anna Amato, Tommaso Cardarelli, Alessandro Loi, Maria Sole Mansutti
disegno luci Dario Aggioli
supporto coreografico Elena Rolla
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La teoria-Singapore rappresenta per l’Avvocato una vera rivelazione, tanto da dedicare ogni attimo della vita che gli resta ad applicarla senza tregua. Perseguendo un obiettivo folle e al tempo stesso grandioso: riavere sua moglie. Per farlo deve raccogliere tutti i ricordi; e, soprattutto, deve renderli puri e perfetti. E aderenti. Il suo assistente Fanicchia e la Signorina Mori, di professione segretaria raccoglitrice, lo aiuteranno nell’impresa, tentando di vincere tutti i dubbi e le remore che, in merito, sembra lecito nutrire.
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"Singapore" è il nome di un'idea, prima ancora che il titolo di un testo notevole e di uno spettacolo importante.
Le righe in corsivo sopra riportate, del resto, non fanno giustizia di un plot estremamente articolato, eppure talmente giocato sulla sottrazione, sulla leggerezza di tocco, sull'impalpabilità filosofica del concetto vita, da poter essere riassunto solo con grandi difficoltà e solo con enormi perdite (di senso; oltre che di puro contenuto).
Comunque lo spunto è una meraviglia che suona così: il ricordo è caratterizzato dall'imprecisione; se il ricordo fosse preciso - preciso in ogni minuzia -, ebbene: quel ricordo sarebbe hic et nunc, qui e ora, materialmente. Questo è il fondamento principale della teoria Singapore.
Se non volessi usare questo mio spazio - del quale stavolta sto davvero abusando - per dire due parole sullo spettacolo, mi piacerebbe dilungarmi sul ciclostilato consegnato al pubblico e contenente, oltre alla biografia impossibile del dottor Singapore, stralci di autorevoli volumi nei quali si parla di lui e una scelta bibliografica di riferimento. Tutto inventato di sana pianta, ovviamente; ma in modo così ben articolato da rappresentare davvero l'assunto filosofico dello spettacolo e forse anche una soluzione aggiuntiva, alternativa, insomma, a quella proposta sulla scena.
Ecco. Mi sono dilungato. Con il timore, per di più, di non saper fornire alcun quadro logico/strutturale a chi non abbia assistito allo spettacolo.
Del resto quante altre persone potranno vedere questo lavoro? Io stesso (si veda la premessa) senza casi fortuiti (ridondanza) non mi sarei mai imbattuto in una cosa del genere. E allora tanto vale autoalimentarci, condividere impressioni e suggestioni dentro una scatola chiusa che sembra così bella quando si va in scena e che diventa tanto vuota dopo l'ultima replica. Io, noi, i giornalisti in genere, per non parlare degli operatori (davvero merdosi, a volte), malgrado scuse e alibi di rito, siamo colpevoli di non saper alimentare progetti come questo. Ecco perchè "Singapore" forse non lo vedremo mai nei festival estivi, o nei cartelloni della prossima stagione: perchè forse nessuno si preoccuperà di ospitare o - figuriamoci! - di comprare questo gioiello, preferendo luci e suoni di show che hanno scelto da tempo la volgarità come cifra stilistica. O, peggio ancora, la furberia politica.
Dunque, due parole sullo spettacolo.
Non si tratta di un lavoro perfetto, attenzione. La scena potrebbe essere più curata; alcuni passaggi registici andrebbero puliti; un paio di atmosfere mi sono sembrate poco centrate. Ma questo rientra nella norma di un debutto; per di più nella sottonorma di un debutto autoprodotto; per di più nella sotto-sottonorma di un debutto autoprodotto di alto livello.
Qui c'è gente che recita, non so se mi spiego; c'è gente che in scena muove corpo e voce e lo fa comecristocomanda. Qui ci sono attori che costruiscono personaggi e che poi, con quei personaggi, fanno ciò che vogliono. E allora diventa facile, perfino quasi scontato, scalare da un registro all'altro senza alcun trauma, passare dal tono nostalgico a quello buffonesco con la semplicità di un cambio di marcia in autostrada.
La drammaturgia va letta. E' notevole come di rado capita. Ma non la svilirò tentando ancora un altro riassunto. Peggio per voi se non c'eravate.
Sappiate solo che "Singapore" è un lavoro denso, sofisticato, raffinato. Nel suo piccolo è un grande lavoro. Fate voi.
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visti a Roma
Rialto Santambrogio
febbraio 09


3 commenti:

Anonimo ha detto...

grazie. davvero grazie.

Anonimo ha detto...

A teatro ho cercato sempre i classici, allo spettacolo di Andreoli sono arrivata quasi per caso ma mi ha emozionato e mi torna spesso in mente la piacevole ora trascorsa su quelle dure panche. Penso che per capire appieno il testo e non perdersi nella vicenda, bisognerebbe vederlo due volte.
Complimenti alla giovane compagnia, bravi.

vaccamobile ha detto...

quella del rialto è stata una serata straordinaria: una riflessione sul senso e sul linguaggio teatrale con la coppia timpano/lorenzi e una drammaturgia raffinatissima di andreoli supportata da attori di altissimo livello (amato/cardarelli) che dovrebbero trovare spazio su palcoscenici ben più prestigiosi.
in qualsiasi altra capitale europea queste persone (non a caso uso il termine persone prima di dire attori, registi, drammaturghi ecc.)sarebbero valorizzati per dar lustro e prestigio a un'intera nazione.