domenica 27 dicembre 2009

*CLEMENTI-PISTOIA / "BEN HUR"

Il giorno della vigilia di Natale, un amico ci scrive due righe. Ci scrive due righe che cadono a fagiolo:

Qualche ora fa, la mia conoscente XY ha postato il seguente commento su Facebook: "XY vi consiglia BEN HUR al Teatro Sala Umberto". Siccome so più o meno di cosa si tratta e siccome avevo già visto la locandina ho risposto una cosa del genere: "Beh, sì, in effetti... sembra proprio imperdibile...". Un attimo dopo il mio commento è stato cancellato dalla stessa XY con la seguente motivazione: "Era un commento cattivo!"...
Nulla di grave, ovviamente. Anche se tecnicamente non si trattava nè di un commento, nè di qualcosa di cattivo. Ma vorrei girarvi e sottoporvi qualche considerazione in merito:
1) sembra che - almeno nell'ambiente teatrale romano - più uno faccia spettacoli comici, meno sia disposto ad accettare l'ironia (vi ricordate il commento di Battista cui voi stessi dedicaste un post tempo fa?; ...ma a me è successo anche di essere minacciato da un regista "comico" cui avevo dedicato una recensione non proprio positiva...);
2) pare che questa gente - parlo sempre dell'ambientino del teatro comico romano - necessiti solo e soltanto di consenso popolare; un consenso di risate grosse che la rende immune (e insofferente) a qualsiasi tipo di critica (non vi ricorda il premier?);
3) il vecchio adagio "la gente vuole ridere" sta finalmente riuscendo a raggiungere l'obiettivo centrale: distruggere quel che resta del teatro italiano [e non si vengano a tirar fuori, come spesso accade in questi casi, Fabrizi o Petrolini: quelli erano artisti di classe, consapevoli dei meccanismi della comicità, di quelli del sociale, di quelli della cultura nazionale, di quelli della vita; quelli erano artisti cui nessuno degli attori brillanti romani viventi e operanti sarebbe degno di allacciare i sandali];
4) date un'occhiata a questo video su youtube:





E' una sorta di presentazione del suddetto BEN HUR. Ascoltate le analisi finali di tale Paolo Triestino. Ma non vi sembrano gonfie di un'arroganza irreale? Ma davvero si può pensare ad un teatro moderno ragionando lungo gli assi cartesiani di noia e risata?

Ho trovato questo commento sulla mia casella di posta. Di notte. Ero appena stato a teatro. Avevo appena visto "Ben Hur", qui a Roma, alla Sala Umberto.
Mi è venuta voglia di scriverne due righe:

BEN HUR
di Giovanni Clementi
regia di Nicola Pistoia
con Paolo Triestino, Nicola Pistoia e Elisabetta De Vito
scene: Francesco Montanaro
costumi: Isabella Rizza
visto a Roma
Teatro Sala Umberto
dicembre 2009
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Sergio, interpretato da Nicola Pistoia, che firma la regia dello spettacolo, è uno stuntman caduto in disgrazia dopo un avvio eccellente niente di meno che con Spielberg nel film “Salvate il soldato Ryan”. Oggi si ritrova infortunato e in attesa di risarcimento; così per sbarcare il lunario si arrangia a posare, vestito da centurione per i turisti che passano davanti al Colosseo. Sua sorella Maria (Elisabetta De Vito) è separata, per arrotondare gli spiccioli del fratello è costretta a lavorare in una chat erotica.
A rompere il tran tran quotidiano arriva Milan (Paolo Triestino), ingegnere bielorusso con tanta voglia di lavorare. Per mandare soldi alla sua famiglia, Milan si arrangia a far tutto, anche a sostituire Sergio nel ruolo di centurione.
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Si tratta di uno spettacolo ben costruito, ben lavorato, ben confezionato. L'esperienza dei protagonisti, affiatati e perfettamente a loro agio, assicura ritmo e tempi comici perfetti. La macchina funziona. La gente ride. Fuori dal teatro è Natale.

Cos'altro dire?

Ha senso dire che, tornando a casa, vengo assalito e avvolto da una tristezza profonda quanto inspiegata? Ha davvero senso dire una cosa del genere all'interno di un giudizio critico?

Certo che ha senso. Consenso Teatrale, tra mille difficoltà, è nato con lo scopo di sottrarsi alla prassi della recensione allieneata.

E allora - non in teatro; ma a casa, ore dopo - questo spettacolo (come decine di altri spettacoli di cui, tra qualche giorno, confonderò nomi, titoli e situazioni) mi provoca un deciso senso di nausea.

Cosa rimane di questo spettacolo? E perchè si può accettare che di uno spettacolo teatrale non rimanga niente?

L'amico anonimo di cui ho riportato la mail, mi segnala un commento dell'attore Paolo Triestino; lo ricopio: "I danni che fanno gli spettacoli brutti sono inenarrabili, soprattutto quelli fatti per i ragazzi, per le scuole... li portano a vedere spettacoli noiosi, interminabili... poi tutti (quei) ragazzi non andranno più a teatro in vita loro: e questo è un peccato. Uno spettatore bruciato, scottato, prima che rivada a teatro, ce ne vuole..."

Non sono d'accordo con il caro mittente (che saluto e ringrazio per gli spunti) quando riscontra in questo commento "arroganza irreale"; dov'è l'arroganza?... Ma sicuramente sono d'accordo con lui quando si chiede: "Ma davvero si può pensare ad un teatro moderno ragionando lungo gli assi cartesiani di noia e risata?"

Come si chiude una non-recensione come questa?
Forse ancora con il buon Triestino; che avverte:
"C'è da dire che mentre un film brutto, sì, ti fa arrabbiare ma non più di tanto... uno spettacolo brutto è proprio un amico che ti tradisce"

Il guaio è che il tradimento reiterato è diventato prassi; e nessuno ci fa più caso.

mercoledì 25 novembre 2009

Cavalli, la Mafia a Milano e la Costituzione

Cavalli è una persona seria.
Peraltro le cose che dice, solitamente, mi interessano.

In questo video tratto dalla trasmissione di Piroso "Niente di Personale", Cavalli legge e recita un brano del lavoro "A cento passi dal Duomo" scritto assieme a Gianni Barbacetto.

È interessante.
Ma lo è altrettanto la risposta finale alla domanda di Piroso.

Perchè penso che il 99% degli attori italiani siano persone senza parte; e che siano spesso anche senza arte. E perchè penso che il 99% dei teatranti italiani siano poveri ignoranti convinti di saper vibrare dietro parole che, per lo più, non comprendono.

Forse il teatro, come tutto il resto in questo paese (p minuscola), sta morendo perchè ognuno di noi continua a fare cose di cui ha dimenticato il senso.

art.4 della Costituzione Italiana
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.


lunedì 3 agosto 2009

*PIGNOTTA / "SCUSA SONO IN RIUNIONE..."

SCUSA SONO IN RIUNIONE, TI POSSO RICHIAMARE?
scritto e diretto da Gabriele Pignotta
con Gabriele Pignotta e Fabio Avaro e con Cristiana Vaccaro, Ilaria Di Luca e Andrea Gambuzza
una coproduzione tra La Bilancia di Roma e il Teatro Stabile Privato Torino Spettacoli Commedy & Co

visto a Torinio
Teatro Gioiello
maggio 09
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Dopo il grande successo di Una notte bianca ecco la nuova commedia di Gabriele Pignotta che racconta la storia di cinque trentacinquenni, ex compagni di università, che dopo gli indimenticabili anni di studio trascorsi insieme, decidono di puntare tutto sulla carriera, finendo nel frullatore di un esistenza complicata e stressante. Esattamente come accade oggi ad ognuno di noi, corrono in continuazione da un impegno all'altro, non hanno mai tempo per nessuno, non riescono a mantenere un rapporto sentimentale stabile e a chi cerca di rallentare la loro corsa insensata verso il nulla, l'unica cosa che sanno rispondere è: "Scusa sto in riunione, ti posso richiamare!” Improvvisamente però, nel bel mezzo della loro frenetica vita quotidiana ricevono una telefonata misteriosa che li porterà a rincontrarsi dopo 10 anni e a trascorrere dei giorni insieme. Così, mentre tutto sembra volgere al termine, verso il lieto fine di una storia di amicizia iniziata tanti anni prima, ecco una sorpresa spiazzante, che farà sobbalzare il pubblico e che catapulterà i cinque protagonisti in una situazione davvero inimmaginabile e grottesca.
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Mi dicono che questo spettacolo ha avuto un enorme successo a Roma.
E anche che Gabriele Pignotta è un giovane autore di grande talento; uno che, se va avanti così, - mi dicono - può davvero risollevare le sorti del genere "commedia".

Del resto è già rilevante il solo fatto che uno spettacolo comico, con forte ed evidente cadenza romana, sia giunto fino al dignitoso palco del Gioiello di Torino. Che abbia dunque varcato i confini del Raccordo Anulare: caso davvero più unico che raro per una proposta di questo tipo.
Lascio dunque a casa tutte le mie perplessità e, come facevo quando avevo l'età di Pignotta, vado a teatro per il solo gusto di vedere, senza alcuna necessità di interpretare. Voglio avere lo sguardo puro, libero da preconcetti, adolescente.

(...)

Alla fine dello spettacolo mi guardo intorno incredulo. E non capisco più niente. Sono inebetito. Certamente sono anche nervoso, teso. Ma soprattutto sono sconsolato, debole, deluso, perfino umiliato.
In tanti anni di carriera non m'era mai capitato di sentire tanto clamorosamente la mancanza degli strumenti minimi necessari all'osservazione di uno spettacolo.
Io non ho assolutamente parole. E, chi mi conosce può immaginarlo bene, una condizione del genere mi addolora in modo - per l'appunto - indicibile.

Non ce l'ho con Pignotta. Non lo conosco nemmeno. E senz'altro è un professionista in grado di comprendere funzionamenti a me ignoti.
Ed è ovvio che non posso avercela neanche con il suo pubblico, che applaude e ride e applaude e ride, come se fosse stato caricato a molla, come in preda ad una crisi isterica, come sotto l'effetto di pazzesche quantità di sostanze stupefacenti.
E del resto non so con chi ce l'ho.

(...)

Racconto una scena.
C'è un uomo in mutande, al telefono. Dietro di lui un water. L'uomo, parlando col proprio interlocutore, dice: "Devo inviare (invia') un fax". E lo dice mentre alza la tavoletta del water e si siede sullo stesso. La gente ride. E ride di gusto.

(...)

Non la voglio far lunga. Del resto non sono davvero in grado di scrivere una vera recensione.
Però penso che questo spettacolo non lo dimenticherò mai.
Mi accompagnerà nei prossimi anni, come il segno più visibile, clamoroso e autentico del declino culturale italiano.
Di solito non ho spiccate tendenze apocalittiche. Ma d'altro canto non m'era mai capitato di provare tanto sconcerto. E tanta vergogna.

(...)

...Vergogna sì.
Mentre vedevo il tizio sul water e mentre ascoltavo il riso della gente, ho pensato che uno spettatore straniero (un tedesco, uno spagnolo, uno forestiero qualsiasi) potesse essere seduto in sala. E che potesse osservare tutta la scena con un'incredulità differente dalla mia ma ugualmente vasta. E che poi potesse tornarsene nel suo paesa, a raccontare, anche attraverso questo spettacolo, lo stato in cui versa l'Italia.
Ecco. Io avrei voluto prendere sottobraccio questo spettatore, avrei voluto portarlo a cena e provare a persuaderlo, per tutte le ore necessarie a farlo, che nel nostro paese il teatro esiste ancora, che non è quello lì, che esiste ancora un senso della misura, che il rispetto indissolubile nei confronti del palcoscenico e delle persone è ancora, nella maggioranza dei casi, il segno distintivo degli artisti italiani...

(...)

Ma siamo fuori tempo, amico mio.
Questo è il paese di Berlusconi; il paese della censura, delle escort, delle mafie, della Salerno-Reggio Calabria, dei precari, delle ronde...
E' anche il nostro.
E' anche quello in cui si esulta per un cesso sul palcoscenico.



venerdì 10 luglio 2009

le verità nascoste

Dopo aver studiato da attore, il tronista Fernando Vitale sceglie il porno e si prepara a girare un film a luci rosse. Ma ci tiene a precisare: "Non lo faccio per soldi: voglio raccontare le mie verità"
[XL, anno IV, num.46, giugno 2009]

venerdì 1 maggio 2009

giovedì 30 aprile 2009

Il Grande Proietti

Su "Repubblica" del 29/4 si tenta un bilancio dei primi 12 mesi da sindaco di Gianni Alemanno.
Titolo a tutta pagina in Cronaca di Roma: "Conti e sicurezza, il mio anno da sindaco".

A cavallo tra pagina II e III, inoltre, compare un pezzo intitolato: "Promosso o bocciato" cui seguono faccette di personaggi mediamente famosi ai quali è stato chiesto cosa approvino e cosa non approvino nell'operato del nuovo sindaco.

La domanda è stata posta anche al GRANDE GIGI PROIETTI: Per quale motivo promuoverebbe Alemanno?

La risposta è da no-comment:














sabato 25 aprile 2009

mercoledì 15 aprile 2009

LODI: FIORANI CONTRO CAVALLI

riceviamo sulla mail di facebook; e stravolentieri pubblichiamo; con inutile sconcerto:

GIANPIERO FIORANI BLOCCA LA RAPPRESENTAZIONE A LODI DI UNO SPETTACOLO TEATRALE SULLA VICENDA ANTONVENETA/BANCA POPOLARE E DIFFIDA L’ATTORE GIULIO CAVALLI, ORGANIZZATORE DELLA SERATA

Lodi, 15 aprile 2009 – La decisione dell’attore e regista Giulio Cavalli di organizzare a Lodi la rappresentazione dello spettacolo teatrale “Previsioni meteo: diluvio universale – the rise and fall of Gianpy” di Eugenio de’ Giorgi, scatena le ire di Gianpiero Fiorani, che tramite i suoi legali diffida Giulio Cavalli dal dare corso alla rappresentazione e successivamente, non avendo ottenuto quanto richiesto, comunica di vedersi “costretto ad agire per ottenere il risarcimento degli ingentissimi danni che derivano dalla denunciata situazione di illiceità”.
Lo spettacolo, che era atteso a Lodi per il 23 aprile, è tratto dal libro Capitalismo di rapina di Paolo Biondani, Mario Gerevini e Vittorio Malaguti, (ed. Chiarelettere 2007) e ripercorre le tappe della scalata Antonveneta, la storia quotidiana fatta di corruzioni, manovre losche e intercettazioni imbarazzanti dei furbetti del quartierino.
Fiorani stesso, tramite legali, fa sapere che “è francamente sconcertante che, essendo in corso il processo relativo all’accertamento dei fatti si possa ritenere civile e legittimo rappresentare quanto accaduto in modo distorto, danneggiando così non solo persone a tutt’oggi innocenti, ma soprattutto il lavoro delle istituzioni”.
In seguito alla lettera di diffida di Fiorani a rappresentare lo spettacolo, è stata ritirata la disponibilità della location lodigiana prevista per la messa in scena, mossa che ha riconosciuto implicitamente a Fiorani il potere non solo di sopprimere uno spettacolo teatrale, ma anche di minare le forme dell’informazione stessa.
Un atto spiacevole quello di Fiorani nei confronti di Giulio Cavalli, che rappresenta un gesto di intimidazione per impedire che i cittadini lodigiani possano liberamente assistere ad uno spettacolo che si propone, attraverso materiali documentari, solo di fare informazione. Atto gravissimo e paradossale, considerato che lo stesso spettacolo è già stato rappresentato su Milano nel gennaio del 2009.
A questo proposito scrive l’avvocato Pietro Gabriele Roveda, legale di Giulio Cavalli: “lo spettacolo “Diluvio Universale” è stato in scena a Milano presso il Teatro Olmetto dallo scorso 12 gennaio 2009 e non risulta che l’Autorità Giudiziaria sia intervenuta ad inibirne la rappresentazione.
In merito alla possibilità che la messa in scena possa turbare il corretto svolgimento dell’attività processuale in corso, la decisione spetta unicamente all’Autorità Giudiziaria procedente, a cui il dr. Fiorani può indirizzare le proprie doglianze. Sommessamente rilevo che, per quanto si apprende dalla stampa, il dr. Fiorani è coinvolto in processi – in corso – anche presso il tribunale di Milano, che non ha ritenuto di bloccare le rappresentazioni in quella città. Per quanto attiene al merito dello spettacolo il dr. Fiorani potrà rivolgersi direttamente all’autore, pure se lo stesso spettacolo è la trasposizione fedele del libro “Capitalismo di rapina” (Biondani – Gerevini – Malagutti; ed Chiarelettere 2007), e riguarda quindi fatti già pubblicati.”
Ha dichiarato l’attore Giulio Cavalli: “La vicenda esonda dal merito di questo spettacolo nello specifico: qui si tratta di dover ribadire il diritto di rappresentare con il mezzo teatrale una vicenda nel cuore stesso della città in cui è nata. Il diritto di opinione (sia essa sulle colonne di un giornale o su di un palcoscenico) non è un rebus da giocarsi tra me e il dr. Fiorani ma molto più banalmente un diritto sancito dall’articolo 21 della Costituzione; proprio per questo lo rivendico con forza e convinzione. Lo stesso diritto che eserciteranno i cittadini spettatori nell’applaudire o criticare la rappresentazione. Nonostante il mio “religioso” attaccamento al teatro come forma di opinione mi sorprende che una semplice rappresentazione possa addirittura diventare d’intralcio per le istituzioni.
Le prenotazioni ricevute, il sostegno dimostratomi e soprattutto il neonato comitato organizzatore formato da diverse associazioni del territorio che gestiranno con noi la realizzazione della serata, dimostrano l’esigenza che lo spettacolo di De’ Giorgi sia visto e giudicato anche a Lodi.
Sono comunque pronto a bloccare la realizzazione dello spettacolo nel caso in cui l’Autorità Giudiziaria (e non certo il dr. Fiorani) dovesse ritenerlo opportuno.”

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a futura memoria:

COSTITUZIONE ITALIANA
ART.21
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.


domenica 1 marzo 2009

*DE SIO / "IL LAUREATO"

The Dreamers Productions
IL LAUREATO
con Giuliana De Sio, Giulio Forges Davanzati, Antonio Petrocelli, Valentina Cenni, Giulia Weber, Paolo Gattini, Luigi Di Fiore
adattamento Terry Johnson dal romanzo di Charles Webb
versione italiana Antonia Brancati, Francesco Bellomo
con soggetti di Calder Willingham e Buck Henry
per concessione di Studio Canal
prodotto originariamenti sulle scene di Londra e di Broadway da John Reid & Sacha Brooks
scene Carmelo Giammello
costumi Teresa Acone
colonna sonora Renato Giordano con brani di Paul Simon & Art Garfunkel
regia Teodoro Cassano

visto a Caserta
Teatro Comunale
marzo 09

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Giudith Robinson, affascinante, lontanea, estranea al mondo che vive intorno a lei, persa nell'alcool, vaga in una sorta di periferia dell'esistenza, come in un acquario popolato da creature che si lasciano vivere, lei sola della sua specie. Il sollievo della fuga, possibile solo in fondo al bicchiere, sembra placare la claustrofobia del conformismo che il vento dei pieni anni '60 tenterà di spazzare via. Anche il giovane Benjamin Braddock, da poco laureato, indifferente ai progetti che i genitori sognano per lui, ha smania di novità e la differenza di età tra i due non argina il caso che li porterà ad essere amanti. Comincia per loro, un confronto di solitudini senza implicazioni sentimentali fino a che Elaine, figlia di lei, entra come terzo incomodo in un rapporto già anomalo che il destino tinge ora di assurdo.
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Spettacolo ovviamente ben fatto. Operazione commerciale ovviamente ben preparata. Pubblico ovviamente felice, allegro e plaudente.
Ma a cosa serve una cosa del genere? Chi ne sente il bisogno? Cosa la distingue da un supermercato o da una industria metallurgica o da un negozio griffato nella via più esclusiva del centro?
La De Sio è anche brava, non è questo il problema. Tuttava Pippo Baudo, intervistandola qualche giorno fa, più che farle i complimenti per le qualità artistiche, ha voluto sottolineare - una mezza dozzina di volte - quanto fosse stata splendida nella scena di nudo.
Ora penso che, magari, un'attrice preferirebbe che si dicesse altro del lavoro che svolge. E comunque la De Sio, nelle varie interviste relative allo spettacolo, usa la sua solita spocchia non tanto per riaffermare la propria statura d'attrice ma, più che altro, per dichiarare quanto si senta sexy e quanto si senta cattiva.
Boh. Io non me la sento di condannare questo lavoro. Però certo non lascerebbe traccia di sè neanche su un tappeto di zucchero a velo.


venerdì 27 febbraio 2009

il critico Dioceneliberi

"Esiste l'attore Iradiddio, ma esiste anche il critico Dioceneliberi. E cosi' so' diventato il critico del critico. Se ci sono attori cani, esistono critici della medesima razza. Solo che l' attore cane e' innocuo: abbaia ma non mozzica. Mentre il critico cane e' pericoloso perche' , oltre ad abbaiare, morde".
(Ettore Petrolini)

giovedì 26 febbraio 2009

sull'articolo di Baricco

Il pezzo di Alessandro Baricco pubblicato su Repubblica del 24/2 sta provocando reazioni notevoli.
Già il titolo, in effetti, non si presta a lasciare indifferente nè chi fa teatro, nè chi ne parla: "Basta soldi pubblici al teatro, meglio puntare su scuola e tv".

Ma cosa dice Baricco?
(l'articolo integrale è qui:
http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/spettacoli_e_cultura/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco.html)

Baricco si chiede innanzitutto quali siano state le ragioni che hanno portato, tempo fa, nel nostro Paese, alla prassi di "usare il denaro pubblico per sostenere la vita culturale".
Ne individua tre: 1) aumentare la fruibilità ("rendendo accessibili i luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità"); 2) tutelare forme e contenuti di qualità ("alcuni gesti, o repertori, che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto, e che tuttavia ci sembravano irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà"); 3) tutelare la cultura come elemento strutturale di una democrazia ("nel difendere la statura culturale del cittadino, le democrazie salvano se stesse").

Appare piuttosto semplice privare di valore, almeno allo stato attuale, questi tre cardini; non c'è neanche bisogno di argomentazioni particolarmente acute:

1) La comunità ha in effetti preso possesso sia dei luoghi, che dei riti culturali; la possibilità di fruire della cultura è ormai legata soltanto in minima parte alla disponibilità economica del singolo o alla sua posizione nella scala sociale. Ma questo non dipende dal meccanismo di finanziamento; almeno non direttamente; piuttosto riguarda il villaggio globale e tutti i bla bla bla in merito. Peraltro, dice Baricco: "Se andiamo a vedere i settori in cui lo spalancamento è stato più clamoroso, vengono in mente i libri, la musica leggera, la produzione audiovisiva: sono ambiti in cui il denaro pubblico è quasi assente. Al contrario, dove l'intervento pubblico è massiccio, l'esplosione appare molto più contratta, lenta, se non assente: pensate all'opera lirica, alla musica classica, al teatro: se non sono stagnanti, poco ci manca";

2) Chi decide oggi in Italia cosa vada tutelato? Quali sono i parametri reali? Come si appalta? Come si finanzi? Qual è il background di chi stabilisce: "a te sì, a te no"? Il risultato, continua Baricco, "è che nel nostro paese non esiste quasi più quel fare rotondo e naturale che mettendo semplicemente in linea uno che scrive, uno che recita, uno che mette in scena e uno che ha soldi da investire, produce il teatro";

3) Il terzo punto si demolisce da solo; basta mettere in relazione la parola democrazia con la parola berlusconi; oppure la parola cultura con la parola mediaset. E' facile facile.

Le soluzioni proposte da Baricco sono le seguenti:
"1.Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. [...] Chiudete i Teatri Stabili e aprite un teatro in ogni scuola".
"2. Lasciare che negli enormi spazi aperti creati da questa sorta di ritirata strategica si vadano a piazzare i privati". Il che significa, non so, fare Cechov nel Teatro Coca-cola, fare Pirandello nel Teatro Nike (che non suona neanche male). E tanto per rincarare: "Abituiamoci ad accettare imprese vere e proprie che producono cultura e profitti economici, e usiamo le risorse pubbliche per metterle in condizione di tenere prezzi bassi e di generare qualità. Dimentichiamoci di fargli pagare tasse, apriamogli l'accesso al patrimonio immobiliare delle città, alleggeriamo il prezzo del lavoro, costringiamo le banche a politiche di prestito veloci e superagevolate".

Questo, più o meno, il contenuto del pezzo.
Un contenuto che, sorprendentemente, coincide in modo esatto al mio personale punto di vista.
Non mi capitava da tempo di essere così in accordo con qualcuno.

Non credo neanche, come molti sostengono, che si tratti di una provocazione.
Se poi davvero Baricco predichi bene e razzoli male, mi interessa davvero poco al momento.

Tra le innumerevoli reazioni autorevoli, ne segnalerei due:

La prima è tratta dal blog L'Italia vista da Londra (http://breakfastinlondon.blogosfere.it/):
Io sono un'esule, non mi permetto di commentare...il fatto che me ne sia andata dice gia' molto. Ma conosco bene il mondo dell'arte e dello spettacolo italiano: so dove vanno i soldi e perche', ho visto come vanno le cose e ho vissuto alcuni dei milioni di problemi che attanagliano la povera Italia. Povera Italia, mi sembra davvero la guerra dei poveri per le briciole di un antichissimo splendore. [...] Io non intervengo sulla polemica italiana, sulle vostre tasse, i vostri politici... io ho combattuto, pagato e ho avuto in cambio solo rabbia. Pero' vi dico questo: Londra e londinesi saranno anche in crisi, ma i teatri continuano a essere pieni di begli spettacoli e di gente.
Il problema italiano e' titanico: soldi, teatri, politici, registi, attori...
Guardate le vostre sale: piene solo di addetti ai lavori (spesso pure costretti a pagare).
Guardate i vostri palchi: sempre la stessa gente, sempre la stessa roba.
Che palle!

La seconda è Il n'y a pas de Colin dans le poisson, un breve filmato documentario sul disimpegno dello Stato nella Cultura, realizzato dall'associazione culturale Les Yeux d'IZO di Poitiers (Francia) nel luglio del 2008. L'ha usato Inteatro per dare ua risposta all'articolo di Baricco: "Una risposta francese alla polemica sollevata da Alessandro Baricco nel suo articolo pubblicato ieri su La repubblica. Un filmato (lo potete vedere qui: http://www.inteatrotv.com/index.php?cat_id=10&prod_id=161) per riflettere sul senso del finanziamento pubblico alla Cultura".
In effetti si tratta di un filmetto inutile in cui si dicono cose scontatissime e per niente connesse alle questioni in oggetto. Nulla di nuovo: è così che la casta degli intellettuali pensa di spiegare il mondo a tutti coloro i quali non vengono ritenuti capaci di pensieri critici: con parabolette da quattro soldi e con depistaggi pianificati (del resto fanno così fin dai temip di Zenone).

Si parlerà ancora di questa cosa. Ma non servirà a niente parlarne.
Tranne che a far sentire ancora un po' di vita a chi è cadavere da tempo.

sabato 21 febbraio 2009

*TIMPANO / "TENERAMENTE TATTICO" - CIRCO BORDEAUX / "SINGAPORE"

premessa (più o meno doverosa)

Roma la conosco poco. Fino a pochi mesi fa, per me, era stata soltanto una stazione di passaggio.
Ora, da qualche mese, dopo aver lavorato per tanti anni soprattutto nel Nord-Est (ben 15, intervallati soltanto da una mezza dozzina di brevi parentesi meridionali) ho dovuto prendere casa a Roma. Ed ora è qui che vivo.
Fuori si parla spesso del teatro romano come di una galassia. Roma, del resto, è la città che, di gran lunga, conta il maggior numero di sale teatrali.
A poco a poco, tuttavia, sto capendo che "galassia" non è altro che un termine di comodo, usato per (non) definire una realtà poco nota. Un termine vago, vaghissimo, che non fa certo onore a chi vuole applicare la professione giornalistica ad un contesto variegato.
Così ho deciso di mettermi a studiare.
Un amico - giornalista attento ma soprattutto romano - mi ha segnalato un paio di "libri di testo".
Uno di questi, anche se magari un po' partigiano, mi ha aperto - è il caso di dirlo - un mondo che ignoravo veramente del tutto. Si tratta di un volume intitolato "Hic sunt leones - scena indipendente romana", curato da tale Graziano Graziani e pubblicato da Editoria&Spettacolo circa due anni fa.

Hic Sunt Leones investiga nella scena teatrale indipendente romana e nella dinamica ricerca che negli ultimi anni l'ha caratterizzata, con incursioni nell'arte visiva, nella musica, nel video, nella danza. Le testimonianze dei protagonisti sono affiancate dalla prefazione di Attilio Scarpellini, dai commenti di Fabrizio Arcuri, Giorgio Barberio Corsetti, Andrea Cosentino, Roberto Latini e da un intervento di Franco Ruffini. La descrizione di questo luogo dell'arte ai confini, in un tempo in cui i concetti di centro e periferia perdono il loro carattere stanziale, disegna una cartografia, un'immagine inevitabilmente parziale di un territorio rappresentato attraverso il vissuto: una mappa che fatalmente coincide con il territorio.


Penso:
1) se almeno le 5-6 città di riferimento potessero disporre di una ricognizione altrettanto attenta, puntuale e consapevole relativa teatro c.d. invisibile, l'analisi giornalistica di riferimento (ma anche quella sociologica, quella generalmente culturale, forse quella storica) potrebbe essere meno vaga; e comunque avrebbe meno scuse per esserlo;
2) quello che Roma ha messo in campo, negli ultimi dieci anni, in termini di produzione indipendente è: a) assolutamente ignorato al di fuori del Raccordo Anulare; b) semplicemente sconcertante; almeno sul piano della quantità, della eterogeneità e dell'impostazione teorica [quanto alla qualità specifica, al momento non so che dire; ma è una mia colpa esclusiva cui tenterò, d'ora in poi, di porre rimedio;
3) visti anche gli orrendi cartelloni proposti, forse devo mettermi in testa di disertare più spesso ArgentinaValleIndiaQuirinoEtiEliseo e di affacciarmi con costanza abitudinaria nelle topaie da 30 posti. D'altronde, quando il mio sedere borghese tornerà ad aver voglia di velluto, farò sempre in tempo a tornare sui miei passi.

Questa premessa serve per dire - più a me e ai miei colleghi, che non ai lettori del blog - come sia finito, qualche giorno fa, sulle poltrone scomode e sulle panche dure del Rialto Santambrogio, luogo cult - pare - del teatro romano indipendente.
Era in corso Dramorama - rassegna di nuovi approcci alla drammaturgia.
Ho visto due spettacoli. Questi:

NEGATIVE FILM#1 - TENERAMENTE TATTICO
ideazione e regia Lorenzo Letizia
drammaturgia Daniele Timpano
con Daniele Timpano, Francesca La Scala
voce narrante e luci Marco Fumarola
produzione: amnesia vivace / Le Chant du Jour / Teatro Forsennato
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Un piccolo esperimento sulla costruzione del senso in chi percepisce. Un testo scorre per qualche minuto nel buio della sala, poi entrano in scena due persone, si collocano davanti a dei microfoni posti su delle aste. Si spengono le luci, permettendo così di vedere solo i loro volti, parte una musica, seguita da un video che mostra i due performer seduti su di una panchina... e' notte, e mentre il montaggio del video propone un'ipotesi di racconto i due iniziano a dire il testo che noi spettatori abbiamo appena letto...
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Lavoro intramuscolare, fulminante, beffardo; e soprattutto colto, direi. Non solo perchè musicato, videodiretto (sic) e ben lavorato sul piano dell'interpretazione (o della non-interpretazione, fate come vi pare...). Del resto, anche in 15 minuti, è difficile vedere una cosetta tanto ben costruita, tanto consapevole, peraltro, delle tecniche e delle tattiche relative alla messa in scena. Mini-drammaturgia, questa di Timpano; sembra poco più che una storiella divertente; e invece, in fin dei conti, svela un meccanismo, che è poi quello del funzionamento delle dinamiche teatrali meno avanguardiste, più nazional-popolari. Attenzione, però. Questa nuga - lo dicevamo - in senso diretto ha poco a che fare con le orrende platee sistinesche; ma sospetto che affondi le proprie radici esattamente lì. Il risultato è quello di apparire costruita per un pubblico che, di fatto, almeno in Italia, non esiste (forse questo è il difetto). Qui ci vuole uno spettatore d'essai più che d'elite; uno che conosca, non so... la videoarte, la letteratura americana contemporanea, il teatro antistabile; ma che per il solo fatto di avere nozioni in merito, non si mostri automaticamente snobissimo; e che non rifiuti dunque, almeno non a priori, Garinei&Giovannini, il Festival di Sanremo e il discorso dell'ultimo dell'anno del Presidente della Repubblica.
Nota a margine: la voce narrante è quella del light designer; un'evenienza, questa, che da sola racconta lo spirito cooperativo, comunitario e forse socialista che caratterizza - spero con tanto orgoglio - tanto teatro autoprodotto; distaccandolo decisamente da un mondo nel quale c'è chi è pagato per portare caffè macchiato alla prima attrice ("Grazie caro").

Circo Bordeaux
SINGAPORE
scritto e diretto da Marco Andreoli
con Anna Amato, Tommaso Cardarelli, Alessandro Loi, Maria Sole Mansutti
disegno luci Dario Aggioli
supporto coreografico Elena Rolla
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La teoria-Singapore rappresenta per l’Avvocato una vera rivelazione, tanto da dedicare ogni attimo della vita che gli resta ad applicarla senza tregua. Perseguendo un obiettivo folle e al tempo stesso grandioso: riavere sua moglie. Per farlo deve raccogliere tutti i ricordi; e, soprattutto, deve renderli puri e perfetti. E aderenti. Il suo assistente Fanicchia e la Signorina Mori, di professione segretaria raccoglitrice, lo aiuteranno nell’impresa, tentando di vincere tutti i dubbi e le remore che, in merito, sembra lecito nutrire.
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"Singapore" è il nome di un'idea, prima ancora che il titolo di un testo notevole e di uno spettacolo importante.
Le righe in corsivo sopra riportate, del resto, non fanno giustizia di un plot estremamente articolato, eppure talmente giocato sulla sottrazione, sulla leggerezza di tocco, sull'impalpabilità filosofica del concetto vita, da poter essere riassunto solo con grandi difficoltà e solo con enormi perdite (di senso; oltre che di puro contenuto).
Comunque lo spunto è una meraviglia che suona così: il ricordo è caratterizzato dall'imprecisione; se il ricordo fosse preciso - preciso in ogni minuzia -, ebbene: quel ricordo sarebbe hic et nunc, qui e ora, materialmente. Questo è il fondamento principale della teoria Singapore.
Se non volessi usare questo mio spazio - del quale stavolta sto davvero abusando - per dire due parole sullo spettacolo, mi piacerebbe dilungarmi sul ciclostilato consegnato al pubblico e contenente, oltre alla biografia impossibile del dottor Singapore, stralci di autorevoli volumi nei quali si parla di lui e una scelta bibliografica di riferimento. Tutto inventato di sana pianta, ovviamente; ma in modo così ben articolato da rappresentare davvero l'assunto filosofico dello spettacolo e forse anche una soluzione aggiuntiva, alternativa, insomma, a quella proposta sulla scena.
Ecco. Mi sono dilungato. Con il timore, per di più, di non saper fornire alcun quadro logico/strutturale a chi non abbia assistito allo spettacolo.
Del resto quante altre persone potranno vedere questo lavoro? Io stesso (si veda la premessa) senza casi fortuiti (ridondanza) non mi sarei mai imbattuto in una cosa del genere. E allora tanto vale autoalimentarci, condividere impressioni e suggestioni dentro una scatola chiusa che sembra così bella quando si va in scena e che diventa tanto vuota dopo l'ultima replica. Io, noi, i giornalisti in genere, per non parlare degli operatori (davvero merdosi, a volte), malgrado scuse e alibi di rito, siamo colpevoli di non saper alimentare progetti come questo. Ecco perchè "Singapore" forse non lo vedremo mai nei festival estivi, o nei cartelloni della prossima stagione: perchè forse nessuno si preoccuperà di ospitare o - figuriamoci! - di comprare questo gioiello, preferendo luci e suoni di show che hanno scelto da tempo la volgarità come cifra stilistica. O, peggio ancora, la furberia politica.
Dunque, due parole sullo spettacolo.
Non si tratta di un lavoro perfetto, attenzione. La scena potrebbe essere più curata; alcuni passaggi registici andrebbero puliti; un paio di atmosfere mi sono sembrate poco centrate. Ma questo rientra nella norma di un debutto; per di più nella sottonorma di un debutto autoprodotto; per di più nella sotto-sottonorma di un debutto autoprodotto di alto livello.
Qui c'è gente che recita, non so se mi spiego; c'è gente che in scena muove corpo e voce e lo fa comecristocomanda. Qui ci sono attori che costruiscono personaggi e che poi, con quei personaggi, fanno ciò che vogliono. E allora diventa facile, perfino quasi scontato, scalare da un registro all'altro senza alcun trauma, passare dal tono nostalgico a quello buffonesco con la semplicità di un cambio di marcia in autostrada.
La drammaturgia va letta. E' notevole come di rado capita. Ma non la svilirò tentando ancora un altro riassunto. Peggio per voi se non c'eravate.
Sappiate solo che "Singapore" è un lavoro denso, sofisticato, raffinato. Nel suo piccolo è un grande lavoro. Fate voi.
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visti a Roma
Rialto Santambrogio
febbraio 09


venerdì 20 febbraio 2009

allunga un altro po'...

Il teatro allunga la vita...



...infatti tutti quelli che stanno nelle cornici hanno superato da un sacco di tempo l'età media nazionale.

mercoledì 18 febbraio 2009

Ironia su Celestini: splendido

Beh, davvero compliemti all'autore; la lampadina in mano è geniale!



giovedì 12 febbraio 2009

*DE LUCA / "DARWIN... TRA LE NUVOLE"

DARWIN... TRA LE NUVOLE
un'idea di Luca Boschi, Stefano de Luca, Giulio Giorello
regia Stefano de Luca
impianto scenografico a cura di Marco Rossi
costumi Luisa Spinatelli
luci Claudio De Pace
consulenza musicale e temi originali Marco Mojana
con Clio Cipolletta, Gabriele Falsetta, Andrea Germani, Andrea Luini, Silvia Pernarella
produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa
visto a Milano
Teatro Studio
febbraio 09
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A soli 22 anni Charles Darwin aveva abbandonato gli studi di medicina per un’avventura straordinaria: il giro del mondo sul “Beagle”, vascello della marina di Sua Maestà. La nave lo avrebbe portato, in cinque anni, alla scoperta dei luoghi più remoti del mondo, Brasile, Ande Patagonia, Terra del Fuoco, Galapagos... Da questo viaggio tornò con una quantità impressionante di informazioni sulla natura - minerali, piante, ma soprattutto animali - che gli consentirono di formulare la sua teoria sull’evoluzione.
Questa storia, la storia vera di un uomo fuori dal comune, è diventata uno spettacolo teatrale, grazie all’incontro di due docenti universitari, Giulio Giorello, epistemologo, e Luca Boschi professore di Fumetto e Cinema d’Animazione e di un regista teatrale, Stefano de Luca.
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Si racconta la storia del viaggio di Darwin sul brigantino Beagle. E intanto si dice qualcosa di più o meno filosofico riguardo la sua teoria.
Lo si fa attraverso fumettini, animazioncine, giochetti d'ombra, abiti d'epoca "stile Famiglia Cristiana".
Lo si fa per mezzo di una leggerezza di maniera (mi viene in mente il Bonaventura di Baliani) per nulla effettiva.
Lo si fa pensando che lo spettatore adulto possa, per un'ora e mezza, aver voglia di sentrirsi bambino; e che lo spettatore bambino impazzisca dal desiderio di emanciparsi attraverso un'erudizione istantanea; fumosa più che fumettosa.

E' che proprio non mi spiego questa voglia del teatro di farsi divulgativo; di dire cose che evidentemente è più utile leggere sui libri; o ascoltare dalla voce tubosa di Piero Angela.

Starò invecchiando. Ma oltre a non spiegarmi atteggiamenti del genere, ho la forte sensazione che non debbano essere ignorati. E che rientrino in un disegno "culturale" quanto meno sospetto.

venerdì 16 gennaio 2009

giovedì 15 gennaio 2009

*BROOK-BECKETT / FRAGMENTS

Théatre des Bouffes du Nord
FRAGMENTS
(Rough for Theatre I, Rockaby, Act Without Words II, Neither and Come and go)
testi Samuel Beckett
regia Peter Brook
Con Jos Houben, Marcello Magni, Kathryn Hunter
assistente alla regia Marie Hélène Estienne
luci Philippe Vialatte
Milano, Teatro Studio
dicembre 07

ripresa:
con Hayley Carmichael, Antonio Gil Martinez, César Sarachu
Lecce, cantieri teatrali Koreja
30-31 gennaio 2009


Non su questo blog. Ma ne avevamo parlato a suo tempo.
E sarà comunque il caso di spendere ancora qualche parola su un lavoro che torna in scena per un nuovo giro di tournee italiana.
Il cast-attori è stato completamente rinnovato: non uno dei protagonisti visti a Milano poco più di un anno fa, partecipa a questo nuovo allestimento.
E dunque sospendiamo ogni giudizio e riflessione in merito. Con un'eccezione: Kathryn Hunter nel vecchio allestimento era assolutamente strepitosa; Hayley Carmichael, brava ma brava in un Cymbeline dei Kneehigh Theatre cui ho assistito in Cornovaglia un paio d'anni fa, avrà un compito gravoso.

Certo, a pensarci bene, appare proprio fuori luogo usare l'aggettivo tipico del teatro italiano - gravoso, per l'appunto - per un inno - sconcertante a tratti - alla Leggerezza con la L maiuscola; con una L colorata, oltre che maiuscola; colorata di blu o di ogni altro colore che vi faccia pensare alla leggerezza delle altezze.

Fragments magari non sarà il capolavoro di Brook; e magari non conterrà neanche il meglio di Beckett. Ma qui
voliamo talmente sopra la media che, anche fosse, non ce ne accorgeremmo.

Questo è teatro. Questo è teatro. Questo è teatro.
E finchè non si ha l'occasione di vedere qualcosa per cui si possa affermare "Questo è teatro", non si capirà mai fino in fondo che gran parte di tutto il resto "non lo è".
Questo è uno di quegli spettacoli potenzialmente in grado di annientare, per pura evidenza del confronto, alcune tonnellate di merda nostrana.

Fate un esperimento, se avete le palle. Provate a vedere questo Brook; e poi, entro un paio di giorni, costringetevi ad assistere ad uno spettacolo di... boh... G.A.; o di S.L.M.; o di uno qualsiasi del loro clan. E poi venitemi a dire se qualcosa si muove. Venitemi a dire se sia possibile non avere impulsi omicidi.

domenica 11 gennaio 2009

Scappo. Che inizia Centovetrine.

Diario
CHE "SPETTACOLO" ORRENDO...
E come vi avevo detto ieri sono andata a teatro...con alcune classi e professori...mi aspettavo fosse una cosa orrenda...e invece mi sbagliavo...è stato ancora peggio di quello che mi aspettavo :-)non vi posso nemmeno raccontare l'"opera"...perchè non ho capito proprio niente...parlavano un po' in italiano antico,un po' in latino (wow)...e un po' in inglese...ma che roba è?!sarà che non sono una tipa da teatro,però...E pensate che il professore ci dovrà pure interrogare...beh...vorrà dire checercherò di scaricarmi qualcosina da internet...Adesso scappo che inizia "CentoVetrine"...un kiss grosso grossoEle
(http://eleony.ilcannocchiale.it/)

sabato 10 gennaio 2009

Billy Elliot a Londra (postilla)

Io vomito quando sento una presentazione letta in questo modo osceno.
Io vomito quando entra la maestra di danza.
Io vomito quando la maestra di danza parla con l'allievo.
Io vomito.

E' ancora lecito, in questo paese, vomitare?
E dichiarare i propri conati?




Billy Elliot a Londra

Non mi piacciono i musical.
Però, dovendo fermarmi per quattro giorni a Londra, ho deciso di dedicare una delle mie serata a Billy Elliot, commedia musicale famosa anche in Italia soprattutto per l'omonimo film.

Inizio davvero a pensare che, superato il livello-nicchia, i generi non contino più. E che davvero il teatro - ma tutto - sia di livello oppure no.

Questo spettacolo, ad esempio, che oltre ad essere un musical, è anche un tantinello moralista, un po' sospiroso e, quà e là, perfino furbettino. Ma è bellissimo. Bellissimo.

Ho fintodi schiarirmi la voce dietro ad un fazzoletto di carta un paio di volte. In realtà stavo asciugando l'inizio di un paio di lacrimucce.

L'identità segreta di chi scrive, tra i molti difetti, ha il pregio di consentire certe confessioni.



lunedì 5 gennaio 2009

l'apoteosi

Rai 1, Uno Mattina di oggi, 5/1/2009.
Ospiti in studio Pier Francesco Pingitore e Manila Nazzaro, ex Miss Italia.
All'intervistatore che le chiede cosa significhi recitare al Bagaglino, la Nazzaro risponde:

"Dopo 10 anni di teatro, per me è l'apoteosi arrivare su un palco così importante"

Mentre rilascia questa affermazione, vengono mandate in onda foto del genere:


giovedì 1 gennaio 2009

intervista ad una giovane attrice (l'impallamento)

Nessun giudizio, da parte mia. Non esplicito, almeno.

Ogni volta che io interpreto un personaggio qualcosa del personaggio rimane in me, anche perché si usano le nostre corde emozionali e si mettono al servizio del personaggio però poi la linea di confine è talmente sottile che molto spesso il personaggio impara qualcosa da te e tu impari qualcosa dal personaggio quindi almeno per quanto mi riguarda ogni giorno sono una persona diversa perché ogni personaggio che acquisisco mi arricchisce; è una grossa palestra anche per il modo di pensare perché spesso ti rimane anche qualche forma mentis che senti affine e la usi. (...) È molto più difficile che un attore di cinema che non ha basi di teatro faccia teatro piuttosto che un attore di teatro faccia cinema; perché l’attore di teatro fa sempre prima a togliere, per un attore di cinema entrare a teatro vuol dire acquisire delle tecniche specifiche, i movimenti sono molto più grandi c’è “l’impallamento”, sai che ti devi spostare altrimenti “impalli” (copri lo spazio in scena) l’altro collega, i tempi… e poi lì è dal vivo e una volta fatta non è che si torna indietro, se capita di sbagliare bisogna anche essere pronti ad inventare qualcosa che metta una toppa all’errore. Anche se l’opinione comune pensa esattamente l’opposto, metti un attore di teatro al cinema e oddio come recita, in realtà l’attore di teatro se è valido ha l’intelligenza di togliere anche se ovviamente deve essere guidato. [da http://fuoriblog.blogspot.com/]

impallàre v.tr. 1 TS giochi, nel biliardo, collocare la propria palla in modo tale che l’avversario non possa colpirla direttamente senza abbattere i birilli o colpire il pallino 2 TS spett., nel gergo televisivo e teatrale, coprire qcn. o qcs. alla vista degli spettatori, con la telecamera o altro supporto tecnico .