venerdì 15 luglio 2011

L'occupazione adolescenziale del Valle. Un'analisi.

1.
In Italia ci sono situazioni e idee cui è obbligatorio aderire. Se non lo si fa è automatico passare per fascisti, per reazionari, per filo-governativi. E' il cancro del pensiero unico, dell'aut aut nostrano, della politica curvaiola, del con noi o contro di noi.
Un giornalista, un intellettuale, un individuo qualsiasi, in parecchi angoli del mondo (e segnatamente in quelli anglofoni), può esprimere la propria opinione senza avere l'obbligo di semplificarla, di trasformarla in uno slogan.
Da anni sono convinto che il vero problema del nostro paese consista nell'aver rinunciato alla complessità del pensiero. Berlusconismo e anti-Berlusconismo, di fatto, lo dimostrano ampiamente.

2.
Dico subito che l'idea di occupare "giovanilisticamente" il Teatro Valle, ovvero - la specifica valga per i non romani non avvezzi - uno dei templi fondamentali del teatro nazionale, mi è subito sembrata interessante e degna di appoggio. Nel nostro (non poi tanto) piccolo abbiamo mosso quello che potevamo muovere, abbiamo informato, abbiamo cercato di far circolare quanto più possibile la notizia. Una notizia, va detto, che comunque ha valicato autonomamente non solo i confini del raccordo anulare ma anche quelli repubblicani, ed è stata accolta con favore da vari media e gruppi tra quelli meglio caratterizzati da una vis polemica (in genere sinistrorsa) piuttosto riconoscibile. Peraltro mi è parso che l'iniziativa in sè sia stata guardata con una certa simpatia, seppure superficiale, anche da buona parte del pubblico teatrale che potremmo indicare come tradizional-borghese, ovvero il pubblico degli abbonati, il pubblico, tanto per intenderci, che affolla con abiti eleganti le prime degli Stabili.

3.
L'obiettivo simbolico dell'occupazione è stato in effetti presto conseguito. Centinaia di giovani e meno giovani sono entrati senza permesso in uno dei teatri più importanti d'Italia e, invece di metterlo a soqquadro, invece di imbrattarlo con murales e uova marce, hanno fatto il contrario: l'hanno rispettato. Hanno cioè cercato di restituirgli - questo mi pare di aver letto nelle prime mosse di questa iniziativa - la dignità che il Governo, con le sue politiche economiche scellerate e, più in generale, col disinteresse verso la cultura, gli aveva tolto. E così hanno realizzato una specie di stagione-ombra, un programma, dunque, di iniziative che, a prescindere dal valore artistico o tecnico, intendevano riconferire senso ad un palcoscenico storico e glorioso.
Il respiro di una fase del genere è tuttavia piuttosto corto. Non per colpa degli occupanti, ovviamente. Ma per via della natura intrinseca di ogni azione simbolica. L'azione simbolica è efficace quando è fulminea o quando occupa il tempo necessario alla riflessione intellettuale. Dopodichè perde forza, si trascina, non porta da nessuna parte.

4.
Ecco perchè sono partito dalla mia Monza (la cittadella, sia detto per inciso, nella quale l'illuminato Governo Bossi vorrebbe trasferire un paio di ministeri senza saper rispondere - ammesso che la intenda - alla domanda minima: cui prodest?) con l'unico scopo di affacciarmi al Valle. E' una cosa che ho fatto centinaia di volte, questa. Ma l'obiettivo è stato quasi sempre quello di assistere ad uno spettacolo da recensire, più raramente ad uno spettacolo da non recensire, più raramente ad un appuntamento privato, più raramente ad un convegno o ad una conferenza stampa. Non ero mai partito alla volta del Valle per osservare un atto di protesta. Arrivato a Roma ho parlato con i miei colleghi e amici soprattutto per sapere che aria tirasse. E devo dire che quasi tutti mi hanno tranquillizzato: "non si tratta di un'occupazione violenta, mi hanno detto, forse non è un'occupazione chiara negli intenti, ma violenta no; vai sereno". E così ho fatto. Mi sono affacciato, ho visto con i miei occhi, ho conversato con gli occupanti, ho bevuto un caffè con alcuni di loro, ho assistito ad una delle serate da loro stessi organizzate.
Quello che segue è l'elenco, scritto sul treno che mi riportava a casa, delle cose che penso:

5.
- Penso che una delle caratteristiche che qualifichi gli attori (e i teatranti, più in generale) sia l'individualismo. Non è nè un bene nè un male. E' una caratteristica. Spesso peraltro addirittura necessaria. Basti pensare ai casting e ai provini per un ruolo importante (o non importante). Sono storie - le conosco per esperienza professionale diretta - che contengono, al di fuori del talento e del mestiere, anche arroganza e prevaricazione, inganno e meschinità di vario genere. E' l'homo homini lupus tipico di questo mondo. Si può ribattere con il buonismo d'accatto, certo. E' prassi. Ma chiunque abbia attraversato certi liquami non può non comprendere a cosa mi riferisca. L'ambizione non può non generare individualismo. Al di là del bene e del male, del lecito e del riprovevole. E non esistono attori privi di ambizione. Se non quando abbiano smesso di pensarsi come attori.
- Credo che la convivenza di spiriti ambiziosi e individualisti in un sistema di tipo collettivo-socialista sia paradossale e, in quanto paradossale, impossibile. Ecco perchè l'idea stessa di un sindacato degli attori mi ha sempre fatto sorridere. Gli operai possono avere un sindacato. Gli insegnanti possono avere un sindacato. Perchè ciò che devono difendere è una categoria di professionisti livellati, mai in competizione reciproca, mai nelle condizioni di dover sperare nell'inciampo del collega. Ribadisco: non c'è nè bene nè male in questo. E' così. Un sindacato degli attori mi pare assurdo come mi parrebbe assurdo un sindacato dei piloti di formula uno. Va bene la base, va bene la definizione di contratti nazionali, la tutela generica. Ma oltre quello parliamo di buffonate. Ora capita che un gruppo coeso, disciplinato e festoso di attori, non solo occupa un teatro-simbolo, ma al suo interno porta avanti un progetto collettivo di significativa durata. Sono cose che non funzionano. Non esistono capitalisti comunisti, non esistono preti ateisti, non esistono curve rette. E allora due sole cose possono tenere insieme un assembramento tanto impensabile: il paternalismo e la disoccupazione. Mi riferisco al paternalismo dei padri patrati (Orlando, Camilleri e compagnia bella) che offrono la loro benedizione alla nuova generazione di attori rampanti; e allo stato di disoccupazione che affligge buona parte degli stessi. Ora quel comune denominatore necessario a qualsiasi tipo di condivisione rischia di essere caratterizzato proprio dalla disoccupazione; che tuttavia, nel caso degli attori, resta un problema personale, niente affatto di categoria. Per il semplice fatto che gli attori non sono una categoria. Ma individui che lottano quotidianamente per realizzare se stessi, in quanto artisti unici retribuiti, non in quanto gruppo di lavoratori genericamente qualificati. Non voglio in nessun modo aderire alle cattiverie di molti miei colleghi. Che sostengono che questa occupazione sia figlia dell'afa e di poco altro. Come se in una città così calda e, al momento, così priva di attrattive ricreative, dei giovani disoccupati avessero scelto quel posto per passare l'estate in compagnia. Io non credo sia così. Nè voglio offendere con giudizi tanto banali l'intenzione e la passione di tanti individui. Tuttavia ho la sensazione che ogni giorno in più che passa, sia destinato a sottrarre potenza e senso ad un'azione nata sotto buoni auspici.
- Sono convinto che, in ogni caso, l'adolescenza protratta, l'adolescenza come modalità, se è senz'altro in grado di produrre splendidi slanci, col tempo perde di forza, si ripiega su se stessa e rischia di divenire, a seconda dei contesti, ridicola o pericolosa. E questa occupazione, questa azione ha davvero molto di adolescenziale. Nel bene e nel male. E' nata come un'azione sorridente, allegra, bandistica mi viene da dire. E questo, ovviamente, va benissimo. E' nata come un'azione civile, impegnata. Forse un po' troppo manichea (rimando al primo punto); ma questo succedeva anche durante le occupazioni liceali, quando eravamo tutti rossi e fieri e certi e, sicuramente, adolescenti. Delle occupazioni liceali, questa qui, ha anche le strutture militaresche (e gerarchiche) nelle quali sono inseriti i vari responsabili, i gruppetti di coordinamento, i servizi d'ordine, gli occupanti veri distinti dagli occupanti part-time, i capobranco, i soldati semplici. Una struttura questa che, forse, è necessaria quanto inevitabile; ma che senza dubbio rende il tutto appena un tantino più antipatico.
- Credo che la seriosità sia un disvalore; ma credo che la serietà sia un valore. Credo sia bello e utile non prendersi troppo sul serio; ma credo anche sia tremendo sottovalutare la portata simbolica dei comportamenti. Nella mia breve visita ho assistito ad una occupazione non seriosa ma nemmeno troppo seria. Ho visto gente truccata come clown, ho visto una persona con ali da putto, ho visto una cravatta luminosa... ok, d'accordo, siete artisti, siete bizzari per vocazione, siete anarchici per dovere, siete estrosi... Ma non credo sia questo il modo di affermarlo. Lo dice un uomo che, pur essendo omosessuale dichiarato, disprezza da sempre certi eccessi e piume di struzzo da gay-pride. Attenzione: non perchè siano di per sè un male; ma perchè strategicamente sono un errore. E non fanno che definire clichè già esistenti.
- Un'ultima cosa. Nei comunicati diffusi non vedo una reale progettualità. Sembrano comunicati preparati sulla falsa riga dei programmi elettorali degli ultimi venti anni. Parole come fumo. E allora, dicevo, ho cercato di parlare con le persone che questa occupazione l'hanno sostenuta e attraversata. E con tutta la simpatia che ho avuto per loro, nessuno ha saputo darmi una risposta seria alla domanda: "A cosa serve?" e alla domanda "A cosa porta?". Viceversa l'orgoglio con cui questi ragazzi parlano del loro sacrificio, del numero dei giorni che hanno messo in fila, mi ha fatto pensare una cosa orribile, che spero sia solo una brutta sensazione; ovvero che l'occupazione sia il risultato, non il mezzo per raggiungerne uno; che l'obiettivo di queste persone sia solo quello di finire nel Guinness dei Primati. Se fosse così ci sarebbe da disperarsi.

6.
In conclusione, dopo aver notato di straforo che questa occupazione è del tutto innocua per il potere costituito, che infatti se ne frega altamente (mi sembra che i chi-di-dovere governativi considerino questi lavoratori dello spettacolo come bambini lasciati nella vasca delle palle colorate all'Ikea: non disturbano nessuno, lasciano campo libero e intanto si sfogano), spero proprio di essere smentito dai fatti. E comunque non mi va di provare tenerezza per queste persone. E non mi va nemmeno di aver paura di loro. Vorrei aderire totalmente a quello che resta un evento centrale in questa estate povera di eventi. Però tante cose non mi piacciono. Non mi piace il trascinamento e non mi piace la guasconaggine; non mi piace il militarismo e non mi piacciono gli slogan. Mi piacciono gli attori. E vorrei che davvero sapessero come difendersi. Possibilità comunque ardua in un paese che, al punto in cui è, senza attori e senza teatri, mi dispiace dirlo, non cambierebbe di una virgola.